Le pensioni delle donne: perché punire chi lavora di più? Una petizione da sottoscrivere
Il carico del doppio lavoro e il valore sociale ed economico dei lavori che le donne svolgono sono stati ancora una volta misconosciuti. La relazione e cura alla persona, i servizi sociali che mancano o sono carenti continuano a gravare per lo più sulle donne, tante volte escluse o espulse per questo motivo dal mercato del lavoro. Non lo vorremmo, non lo abbiamo scelto e vogliamo il cambiamento ma deve essere dato ciò che ci spetta e non deve essere sottratto il nostro tempo.
Alla fine dello scorso anno è stata varata una radicale trasformazione dei compiti e del funzionamento del sistema previdenziale pubblico del nostro Paese. Si è trattato di una manovra che ha reso più ingiusto e iniquo il trattamento pensionistico pubblico nei confronti della maggioranza delle donne.
Dalla Casa delle Donne una petizione, frutto del pensiero e del lavoro di un gruppo di donne di Torino.
Se ancora non l'hai fatto, firma e fai firmare la petizione
http://www.casadelledonnetorino.it/
dove troverai tutte le indicazioni utili.
Qualora il tuo computer non lo consentisse, ti chiediamo di rispondere a questa mail con la tua adesione, indicando il tuo nome, cognome, indirizzo di posta elettronica e città di residenza.
Ti chiediamo di diffondere, nel più breve tempo possibile, l'iniziativa fra tutti i tuoi contatti e fra le donne e gli uomini che conosci.
Quando avremo raggiunto un numero di firme significativo, intendiamo fare un lancio dell'iniziativa anche sui media.
Al Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Monti
Alla Ministra del Lavoro, Politiche sociali e Pari opportunità Elsa Fornero
e p.c. Al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Le pensioni delle donne: perché punire chi lavora di più?
Alla fine dello scorso anno è stata varata una radicale trasformazione dei compiti e del funzionamento del sistema previdenziale pubblico del nostro Paese.
Siamo consapevoli e concordi che si debba attuare un sistema pensionistico sostenibile. Proprio perché crediamo nella sostenibilità (e su questo abbiamo moltoda dire anche al di là del tema delle pensioni), vogliamo che sia chiaro alla società intera che non può esistere sostenibilità ed equità in provvedimenti che non tengono in alcun conto le nette disparità nei lavori e nelle opportunità di lavoro fuori casa tra donne e uomini, le forti disuguaglianze di trattamento economico e di condizioni di lavoro tra lavoratrici e lavoratori.
Il sistema pensionistico non può essere utilizzato per fare cassa.
Siamo convinte che le disparità di genere non possano essere prese in considerazione solamente dal trattamento pensionistico alla fine della vita lavorativa,ma che la loro attenuazione richieda anche un approccio più globale.
Siamo altrettanto sicure, però, che un sistema previdenziale pubblico, per essere tale, non possa solo operare alla stessa stregua di una assicurazione individuale e privata anche perché questo penalizza la maggioranza delle donne.
Se la pensione pubblica è il risultato di un percorso lavorativo, non c’è giustizia nel considerare i “contribuenti” tutti uguali: non c’è giustizia perché non tutte e tuttisvolgono gli stessi lavori e non a tutte e a tutti sono date le stesse opportunità di presenza sul mercato del lavoro.
E’ inoltre necessario confrontarsi con le trasformazioni già avvenute e che avverranno nella composizione dei nuclei familiari e tenere in conto che il reddito pensionabile delle donne sempre meno sarà la conseguenza dei legami che le uniscono ai loro mariti.
Quello che vogliamo evidenziare per richiederne il cambiamento è che la trasformazione del sistema previdenziale pubblico attuata dalla manovra di fine 2011 determina già oggi, e ancor più determinerà in futuro, diritti pensionistici inferiori (in certi casi addirittura l’esclusione) per la stragrande maggioranza delle donne native e migranti che vivono e lavorano (dentro e fuori casa) in questo Paese.
Vogliamo sottolineare inoltre che, quando si interviene per definire un sistema previdenziale pubblico, non si possono cancellare i fatti, ampiamente dimostrati dai dati statistici, che mettono in luce le forti iniquità esistenti nella suddivisione dei
lavori, nel posizionamento sulla scala professionale, nelle importanti differenze retributive a parità di inquadramento tra donne e uomini, nelle differenze dei tempi edella qualità del lavoro e dei lavori che le donne svolgono. Non basta fotografare queste differenze e poi accettarle come ineludibili!
Per queste ragioni chiediamo con forza che:
· Sia tenuto in conto il valore sociale (ed economico) dei lavori che le donne svolgono e che sono la garanzia della sostenibilità umana anche di questo
Paese: questi lavori spesso si “aggiungono” al lavoro fuori casa e sono causa di esclusione dal mercato del lavoro. Devono essere riconosciuti da una
efficace contribuzione figurativa.
Per questa ragione devono essere rivisti i criteri di calcolo dei coefficienti di rivalutazione e di trasformazione per far sì che la pensione non diventi fonte di povertà per tante donne anziane.
·Si rimuova la penalizzazione introdotta dallo scorso governo nei confronti delle pubbliche dipendenti e sia attuata anche per loro la gradualità (già
insufficiente) prevista per tutte/i coloro che lavorano nel privato.
· Sia tenuta in conto la faticosità dei lavori di molte operaie e operai perché in un Paese “civile” non può essere consentito che donne e uomini svolgano
quei lavori sino a 67 anni e oltre. Nessun sistema economico degno di
questo nome può essere interessato ad una forza lavoro manuale di questa
età.
· Sia tenuto in conto che non si può ipotizzare un Paese dove a lavorare negliasili nido, nelle scuole materne ed elementari siano educatrici e educatori
(in maggioranza donne) che sono obbligati a prestare il loro lavoro sino a 67
anni e oltre.
E neppure un Paese dove a svolgere i lavori di infermiera/e, di operatrici/tori sociosanitari e ausiliari negli ospedali, nelle strutture per anziani e per portatori dihandicap, nell’assistenza domiciliare siano delle donne (in maggioranza) e degli uomini sino a 67 anni e oltre.